(Adnkronos) – Lo scorso 22 aprile una ragazza di 25 anni, allieva della Scuola marescialli di Firenze, si tolse la vita nella sua stanza con un colpo di pistola. Un caso drammatico sul quale ora i genitori, “convinti che il disagio della figlia fosse stato trascurato proprio dalla scuola”, come riporta oggi ‘la Repubblica’, hanno scritto una lettera al sindacato carabinieri Unarma, che l’ha pubblicata sul suo sito annunciando anche un esposto in procura sulla vicenda.
“Se un’istituzione dà più valore alle formalità che alla formazione e crescita personale dell’individuo conduce al fallimento. Lei ha fatto una scelta che nessuno potrà mai comprendere, ma le istituzioni hanno il dovere di interrogarsi continuamente sullo stato di salute mentale del proprio personale”, sottolineano i genitori della 25enne, che nella lettera riportano svariati dettagli sulle prescrizioni alle quali, come tutti gli allievi, era tenuta la giovane donna: “Le ragazze non possono indossare stivaletti tipo Dottor Martens o Timberland durante le libere uscite”, “Chi ha conseguito un esame con voto pari a 18-19-20 salta il pernotto”, “no beauty case in bagno”, “porte delle camere sempre aperte se non siete in libertà” e così via.
Una situazione che la ragazza “reputava priva di valore formativo”, nonostante avesse “molto a cuore l’Arma”, spiegano, raccontando come la figlia “nei giorni precedenti la morte manifestava un forte stress psicofisico, difatti riferiva alla madre che stava perdendo i capelli e che non ne poteva più di sottostare a quelle ‘regole’ poco funzionali e che si insinuavano in ogni ambito della propria vita. Inviava spesso le foto di come era costretta a vestirsi in abiti borghesi per poter avere un paio di ore di svago concesse durante la libera uscita, del fatto che doveva necessariamente tenere i capelli raccolti. Diceva sempre più spesso alla mamma ‘questa scuola mi sta rovinando la vita’”.
“Nei primi giorni di frequentazione della scuola aveva manifestato l’intenzione di abbandonare il percorso anche se era da sempre stato il suo sogno – scrivono ancora i genitori – aveva percepito quello che ci riferiva essere un ambiente estremamente rigido e totalitario. Successivamente si era convinta che il regime così restrittivo rientrasse nella logica di un periodo iniziale per testare in prima battuta le capacità di resilienza dei futuri marescialli. Purtroppo questo non corrispondeva a realtà: le condizioni di pieno inasprimento e i ritmi di vita serrati sono continuati”.
“La società nella quale viviamo, le istituzioni che noi serviamo con lealtà e onore, hanno il dovere di non lasciare indietro nessuno, hanno il dovere di interrogarsi continuamente sullo stato di salute mentale del proprio personale, di guardare negli occhi gli uomini e le donne in uniforme, ancor prima di guardare il grado che indossano – l’appello dei genitori – L’Arma dei Carabinieri ha il dovere di rivolgere tutte le proprie attenzioni sul valore, secondo noi essenziale, su cui si fonda il proprio compito istituzionale, ossia il valore dell’essere umano. La nostra tragica esperienza ci ha portato a riflettere sulla questione da una duplice prospettiva, sia da quella familiare che quella professionale all’interno delle Forze dell’Ordine. Vogliamo manifestare la nostra totale disapprovazione nei confronti di un sistema costituito da gerarchi inseriti in un contesto che non manifesta valori umani”.
Nel pubblicare la lettera il sindacato Unarma spiega: “Siamo profondamente toccati dalle parole della famiglia e comprendiamo appieno le loro preoccupazioni riguardo alle circostanze che hanno portato alla tragica scomparsa della 25enne. Condividiamo il loro desiderio di fare luce su questa situazione e di affrontare il problema dei suicidi tra i membri delle Forze Armate e di polizia con la massima serietà e impegno”. Per questo il sindacato “si impegna a collaborare attivamente con le autorità competenti e per indagare a fondo su quanto accaduto e per adottare misure efficaci volte a garantire il benessere psicologico e la salute mentale di tutti i suoi membri” e “per migliorare il dialogo e la trasparenza tra l’Arma dei Carabinieri, i suoi membri e le loro famiglie, al fine di garantire un ambiente di lavoro più sicuro e sano per tutti”.