Il mondo è in costante cambiamento, lo è anche e in particolare adesso. La pandemia in corso, però, sta cambiando il nostro mondo troppo rapidamente, inaspettatamente. Con il primo lockdown, all’improvviso, ci siamo ritrovati a vivere una condizione di cambiamento della routine, in un clima di catastrofe, incertezza per tutti. Eppure, ce l’abbiamo fatta, abbiamo affrontato i mesi di confinamento, di chiusura di tutte le attività, l’interruzione dei viaggi e talvolta anche delle relazioni, ci siamo adattati a lavorare e studiare a distanza.
Non si possono ad ogni modo trascurare le conseguenze emotive sulle persone che si sono viste sopraffare da tristezza, rabbia, angoscia, scoramento. Poi, in estate, è sembrato che tutto tornasse normale, che ci fosse nuovamente una routine. La seconda ondata della pandemia, però, ci ha costretti nuovamente a rimettere tutto in discussione, a cambiare repentinamente e la nostra resilienza emotiva è stata messa a dura prova.
Il primo lockdown e la prima ondata della pandemia hanno tirato fuori in molti di noi un senso di energia, di voglia di combattere, tutti uniti contro un nemico comune: in un certo senso, la novità di una situazione del tutto anomala ed imprevista ci ha dato la forza di affrontarla. Ora però è diverso, e corriamo il rischio di essere disillusi per la paura che tutto ciò non finisca mai. Tutto questo sovraccarica il nostro sistema emotivo e può generare una sintomatologia specifica, chiamata “stanchezza emotiva”.
Il nostro motore emotivo potrebbe essere da troppo tempo costretto a girare a ritmi eccessivi. In effetti, il nostro motore emotivo è in sovraccarico: paura per la nostra vita e per la vita dei nostri cari, paura di perdere il nostro lavoro, il nostro reddito e il nostro sostentamento. E se abbiamo già perso il lavoro, allora la paura riguarda il modo in cui sopravvivremo in un mondo con richieste finanziarie crudeli e protezioni in diminuzione.
L’incertezza porta all’ansia. L’isolamento sociale porta alla solitudine. La mancanza di risorse porta all’impotenza. La libertà limitata porta alla frustrazione e alla rabbia. Le perdite che subiamo portano alla depressione. E questo tsunami di sentimenti negativi, che si amplificano e si intensificano a vicenda, porta a livelli estremi di stanchezza emotiva.
Questa prolungata fatica emotiva è estenuante. E in questo contesto, paura e ansia generate dalla pandemia sarebbero responsabili di questo “spossamento” psicologico che deriva anche dalla conoscenza e adesione alle norme di prevenzione (evitare luoghi affollati, lavarsi le mani) fondamentali per limitare la diffusione del virus responsabile di COVID-19, ma associati all’aumento della stanchezza emotiva delle persone, come indicato in questo studio che personalmente ho seguito presso la EHESS di Parigi da febbraio 2021 ad oggi, ha individuato nel 64,1% dei partecipanti tratti di stanchezza psicologica, contro il 35,9% con uno stato emotivo normale.
Ed è per questo che dobbiamo concedere al nostro cervello emotivo frequenti pause per riposare e recuperare, nello stesso modo in cui daremmo al nostro corpo un riposo dopo una faticosa attività fisica.
La spossatezza, uno dei sintomi dichiarati del Covid-19, possiede delle caratteristiche particolari nel senso che può segnalare la presenza di un disturbo fisico, psicologico o di entrambi i tipi. Nonostante lo spossamento sia frequentemente lamentato dalla popolazione generale, questa condizione è considerata sintomo di vari disturbi fisici e psichiatrici. I sintomi di spossamento e affaticabilità possono comprendere:
sonnolenza, apatia, debolezza, stanchezza, inerzia, mancanza di vigore e voglia di fare esercizio, sensazione di essere esausti.
La stanchezza emotiva è il risultato dell’accumulo di emozioni e pensieri negativi, scaturiti da un flusso continuo di stati d’animo che mettono a dura prova il nostro equilibrio emotivo. Le emozioni, infatti, sono la risposta agli eventi che avvengono esternamente e internamente a noi. In questo periodo, le circostanze esterne e i pensieri interni ruotano di continuo attorno alla gravità e alla durata della pandemia, e tutto quello che la situazione comporta.
Il rischio è di passare troppo tempo all’interno di un circolo vizioso della nostra mente: la rimuginazione, una concatenazione di pensieri e immagini relativamente incontrollabili e attivati dall’individuo allo scopo di prevedere o prevenire eventi negativi in condizioni di incertezza e di costruire mentalmente ipotetiche soluzioni. Purtroppo però spesso in queste condizioni la rimuginazione non dà esiti positivi e ci porta solo sovraccarico negativo, e visione catastrofica.
Dalla preoccupazione per la propria salute e quella delle persone care, alla paura di perdere il lavoro o non (ri)trovarlo, all’angoscia per non sapere come mantenersi e sopravvivere economicamente, l’incertezza che stiamo vivendo porta all’ansia, a cui si aggiunge il senso di solitudine generato dall’isolamento sociale, la frustrazione e l’impotenza dovute alla consapevolezza di non poter fare molto per migliorare la propria situazione, l’esasperazione dell’attesa di un cambiamento positivo dello scenario.
Tutto ciò porta a qualcosa di simile ad uno sfinimento del sistema emotivo, che semplicemente non riesce più a sopportare il sovraccarico di emozioni negative. Nel contesto di questa situazione di anormalità, sono tre i fattori identificati come più incidenti per la stanchezza emotiva: eccesso di informazione, rottura delle routine, cecità selettiva a stimoli di valenza positiva. L’eccesso di informazione produce frenesia, incertezza e catastrofismo.
In questo periodo, chiaramente, è importante mantenersi informati per essere a conoscenza di nuove norme comportamentali da assumere per proteggere la salute di sé stessi e degli altri, o sapere entro quali limiti organizzare la propria vita. Tuttavia, troppa informazione può generare sovraccarico emotivo, specie se il bombardamento mediatico è ricco di notizie negative riguardanti la crescente drammaticità della situazione.
Le nostre emozioni, infatti, vengono sagomate dagli elementi a cui prestiamo attenzione, dai pensieri, dai discorsi, dalle azioni che svolgiamo. Se gli input che riceviamo sono necessariamente negativi, di conseguenza anche le emozioni che ci dominano saranno tali.
La rottura della routine e l’adattamento a nuove abitudini è un’attività mentale faticosa che siamo esseri abitudinari è una nozione chiara più o meno a tutti. Nella routine troviamo le nostre sicurezze. Quello che meno persone sanno, invece, è che ci sono meccanismi neurobiologici del cervello che sostengono la generazione della routine e che dopo un periodo richiesto per la loro creazione, una volta stabilite, diventa tutto automatico. La routine ci permette di risparmiare energia e ci dà velocità continua a leggere sul sito di riferimento