ROMA – ‘Siamo credenti e professanti- alza la voce a un certo punto una giornalista di Rai 1- siamo la rete del Papa, la vogliamo difendere o no la nostra religione?’. Il profumo religioso si mischia a quello dei fritti e delle penne all’arrabbiata che arrivano fumanti, colorate da un’abbondante spruzzata di prezzemolo. Una serata nel cuore e nella pancia di Unirai, il sindacato che si batte ‘per rompere il monopolio dell’Usigrai’ a viale Mazzini. Ecco la cronaca del ‘Brindisi della libertà’, l’evento pubblicizzato con una foto di due calici di bollicine su uno sfondo scuro, ravvivato da un’esplosione tricolore. Un big bang nazional popolare: ‘Unirai, liberi giornalisti Rai’. Dove si sboccia con la colonna sonora di Capitan Harlock, il ‘pirata tutto nero che ha per casa solo il ciel’. Cartone animato giapponese caro alla destradestra e a Giorgia Meloni.
Nello stesso giorno in cui l’Usigrai protesta sotto viale Mazzini per la libertà di informazione, l’Unirai dà appuntamento ‘per un confronto con gli iscritti’ alle 19 al Due Ponti Sporting club, sulla Flaminia, cinque minuti di macchina da Saxa Rubra. Un centro immenso, decine di sport praticati. All’orario prestabilito non c’è quasi nessuno nella saletta ristorante, ‘prenotata per quaranta persone’, dice un responsabile del circolo. Intorno, in attesa dei giornalisti, sfila di tutto: ragazzini in accappatoio dopo la lezione di nuoto, giocatori di tennis e di padel. Un folto gruppo di uomini e donne corre e si affanna a cielo aperto, tra le stradine e le aiuole: è il gruppo del crossfit. Dalla palestra dove si allena la prepugilistica, invece, arriva fortissima la musica techno. Discreto caos. Difficile conversare fuori dalla sala riservata e impegnativo intercettare i volti noti della Rai tra una flessione e un gancio sinistro. Passa anche Roberto Mancini, l’ex ct della Nazionale, in forma smagliante.
Dentro al ristorante i tavoli sono apparecchiati: tartine, tramezzini, panini con la mortadella, finger food, polpette di melanzane, polpo e patate. I fritti: patate, fiori di zucca, baccalà. Si stappa già il prosecco, anche se il segretario di Unirai, Francesco Palese, animatore dell’aperitivo, non c’è ancora. Arriva qualche volto noto: Lorenzo Lo Basso, conduttore di Agorà Estate, Sonia Sarno del Tg1, la vicedirettrice Grazia Graziadei. E poi Incoronata Boccia, ‘Cora’ per tutti. Meno di un mese fa, ospite di Serena Bortone, disse in tv che ‘l’aborto è un delitto, non un diritto’. Pioggia di critiche, interrogazioni in Vigilanza Rai, insulti e minacce di morte. ‘Sei stata coraggiosissima’, le dice più di una collega. Boccia vicedirettrice del Tg1? No, preferisce vicedirettore: ‘Ma ti pare che sono queste le battaglie da fare?’. È la star della serata Incoronata: cercata, salutata e baciata.
Quasi a fine serata, durante una conversazione con una collega impossibile da non ascoltare, Boccia torna su quell’episodio televisivo: ‘Io non ho mai attaccato le donne, ho solo detto le cose come stanno: l’aborto è un omicidio. Sono parole forti, lo so, l’ho premesso. Non credo che si possa né si debba obbligare le donne a non abortire. Ma è un dramma. Conosco medici che dopo anni che hanno praticato l’aborto sono diventati obiettori. Mi hanno attaccato tutti, hanno messo in dubbio la mia capacità di fare un titolo o di costruire un tg solo perché ho espresso la mia opinione. Nessuno mi ha criticato nel merito: quello non mi avrebbe preoccupato, ma attaccare il mio lavoro di giornalista sì, come se io non potessi più farlo. Io sono fortunata, ho la fede. La telefonata più bella che ho ricevuto è stata quella di un prete che mi ha detto ‘Brava, ma dovevi aspettarti che una verità del genere avrebbe smosso le forze giù in basso”. Giù in basso, insegna Dante, c’è il diavolo. La collega di Rai 1 coglie l’attimo: ‘È vero, tu sei protetta dall’alto, ma le forze del diavolo le hai smosse. Siamo la rete del Papa, mandiamo la messa di Natale e di Pasqua in diretta, la vogliamo difendere o no la nostra religione? Non si può più dire nulla, però poi vanno in onda il saluto al sole, le lezioni di meditazione, sedici minuti di uno che racconta come ha cambiato sesso e della Madonna non si può parlare?’.
Succede che in tanti hanno voglia di raccontare, sfogarsi, lasciarsi andare ‘dopo anni di monopolio Usigrai’. ‘Temiamo ripercussioni’, sussurrano. In cambio chiedono l’anonimato. ‘Siamo stati vessati, denigrati e discriminati- dice una giornalista della Tgr- ora però tocca a noi’. In tanti arrivano da una ‘cellula’ nata anni fa all’interno del sindacato unitario col nome di Pluralismo e libertà. Ora che la scissione è fatta, c’è da riempire i taccuini con i racconti. ‘Il Pd Rai- dice un tecnico, visto che Unirai ha aperto le porte e le tessere anche ai non giornalisti- è spaccato nell’elezione del prossimo Cda. Vorrebbero portarne a casa due: Roberto Natale votato dal Parlamento e Alessandra Clementini dai dipendenti. Ma in Rai in tanti le preferiscono Davide Di Pietro. Litigano pure tra di loro’. Il ragionamento è interrotto dall’arrivo di un consigliere dell’Ordine dei giornalisti, gaudente: ‘Stamattina a viale Mazzini quelli dell’Usigrai erano quattro gatti. Corsini mi ha mandato le foto, guarda… guarda’. Il cellulare passa di mano in mano, lasciando una scia di sorrisi. Il nome di Paolo Corsini, direttore dell’Approfondimento in quota FdI, torna quando si parla del caso Scurati. ‘Ha fatto ‘na cazzata, punto- sostiene un invitato- vuoi sapere perché? Perché dal governo l’avevano messo sulla graticola per via di Report. Non è riuscito a bloccare delle puntate che non piacevano proprio e allora stavolta ha voluto andarci giù pesante, ma ha fatto ‘na cazzata. Se andava in onda Scurati non se lo filava nessuno’. Ma il governo chi? ‘Non te lo posso dì’.
Sui telefoni di alcuni ancora gira un messaggio che il direttore del Tg 1 inviò la sera del 6 maggio, il giorno dello sciopero a cui Unirai non aderì: ‘Oggi è stata una pagina storica per la Rai, un evento epocale. Per la prima volta uno sciopero indetto dal sindacato rosso Usigrai si è risolto in un boomerang senza precedenti. Anche Rainews, storico fortino rosso, ha mandato in onda diversi spazi informativi e il sito è stato regolarmente aggiornato così come Televideo’. Stasera però dei direttori che hanno mandato in onda i tg quel giorno non c’è nessuno.
‘Pino Insegno non è potuto venire, è a Napoli, ma ci saluta’. Parola di Palese, che appena arriva è abbracciato e fotografato da tutti e tutte. I selfie col segretario vanno forte. A breve Insegno tornerà in onda con ‘Reazione a catena’ su Rai 1. ‘Sì, ma il programma che voleva fare davvero era un altro, gliel’hanno impedito’. Quale? ‘Una versione rinnovata dell’Eredità, dove il 95% si faceva sui social e poi il resto la sera in tv. Per tutto il giorno la gente poteva giocare sul proprio telefonino e poi la sera si collegava alla tv per vedere se aveva vinto’.
Il chiacchiericcio si fa racconto. In tanti sanno cose, ammiccano, lasciano intendere. ‘Sanremo lo fa Carlo Conti, è certo’. S’intravede anche una rappresentante delle Giornaliste italiane, l’associazione nata un paio di mesi fa con la benedizione del centrodestra di governo e di Parlamento. Ci sono una quarantina di persone, come da prenotazione. Pochi volti noti. Si fa festa. Si mangia, si beve. Un responsabile dei documentari racconta: ‘Qui vengono quasi tutti dall’Usigrai. Diciamoci la verità, metà dei presenti era del Pd, adesso ha annusato l’aria. In Rai poi è ancora pieno di renziani, quelli stanno dappertutto’. Lui, come gli altri e le altre, parla di discriminazioni subite e regali fatti ad altri: ‘Vengono promossi solo gli amici degli amici della sinistra. Mica perché sei bravo’.
Alla tv pubblica, assicurano, ci tengono. Vogliono difendere l’azienda, ‘valorizzare le risorse interne’. Sono dispiaciuti per l’annullamento del duello tra Meloni e Schlein, guardano con occhio critico ad alcune scelte editoriali: ‘Incredibile che si debbano buttare i soldi per un programma orrendo costato sette milioni di euro. Con gli stessi soldi- rincara il giornalista- ci facevamo 70 bellissimi documentari’.
Anche a Rai Sport c’è tempesta, a sentire quello che si dice tra i tavoli. Con le Olimpiadi e gli Europei alle porte c’è tanta voglia di stare tra gli inviati. ‘Il direttore Jacopo Volpi ha scelto un redattore ordinario solo perché è della corrente giusta e non manderà gli storici inviati’, s’arrabbia un giornalista. Volpi dovrebbe andare in pensione a breve, si consola. ‘Lui è in quota Forza Italia ma è del Pd, lo sanno tutti. E’ amico di Malagò, che ha chiamato Gianni Letta e, voilà’. Le chiacchiere, i veleni, le rivendicazioni abbondano. I due tavoli imbanditi non si svuotano. Nessuno si abbuffa. Brindano alla libertà con i calici in mano.
Il segretario Unirai Palese fa il discorso. ‘Il 6 maggio è stata una data storica per la Rai, è successo qualcosa che non era mai successo. Qualcuno dice che si è rotto il fronte sindacale, noi diciamo che è nato il pluralismo’. Applausi. ‘Questo appuntamento era programmato prima che i nostri cugini lanciassero l’iniziativa di questa mattina a viale Mazzini che, mi hanno detto, non è stata proprio partecipatissima…’. Viene interrotto da un giornalista: ‘Insieme ai barboni erano una ventina!’, risate. ‘Ho molto apprezzato l’intervento della mia collega di Rai News 24, Enrica Agostini, ha avuto il merito di richiamare i presenti con una domanda molto semplice: oggi stiamo parlando dell’emergenza democratica, ma perché non eravamo qui nel 2015 quando è entrata in vigore la riforma Renzi? In quella domanda c’è la risposta. E’ una manovra totalmente strumentale perché oggi qualche partito per fare la sua campagna elettorale per le europee sta usando fra i vari argomenti anche questa invenzione di tele Meloni smentita dall’Osservatorio di Pavia, dall’Agcom e dagli italiani che non ci credono perché altrimenti ci sarebbe stata una grande adunata oggi sotto la sede della Rai’.
Applausi finali e altro brindisi. ‘Ora ci vorrebbe la musica per ballare’, gridano dai tavoli. Ma pare non sia prevista. Niente dj né trenini. Qualcuno però si avvicina col telefonino alle casse e collega il jack. ‘Capitan Harlock! Capitan Harlock! Capitan Harlock!’. Parte a tutto volume la sigla del cartone animato del 1979, il pirata spaziale con una benda sull’occhio appiccicato sui muri di CasaPound. Cinque anni fa Giorgia Meloni lo ha festeggiato pubblicamente: ‘Io mi batto solo per quello in cui credo’. Quarant’anni fa sbarcava in Italia Capitan Harlock, ‘il pirata dello spazio’. Fu il simbolo di una generazione che ha sfidato l’apatia e l’indifferenza della gente, lottando contro chi voleva privarla del futuro’.
L’articolo VIDEO | I giornalisti Unirai festeggiano tra bollicine e penne all’arrabbiata: “Ora tocca a noi” proviene da Agenzia Dire.
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